I Saharawi sono la popolazione che abita il Sahara Occidentale, territorio di circa 266.000 chilometri quadrati, che si affaccia sull’Atlantico per un migliaio di chilometri e confina con il Marocco, l’Algeria e la Mauritania.
E’ in gran parte desertico, ma ricchissimo di risorse minerarie, soprattutto di fosfati.
Le coste inoltre sono pescosissime.
Il popolo Saharawi deriva dalla fusione di tribù berbere e beduine autoctone e di elementi arabo-yemeniti arrivati nel Magreb fino al 1300.
La lingua parlata è l’hassanya, dialetto arabo tipico di molte popolazioni di quelle zone.
La religione del popolo saharawi è islamica, vissuta in maniera tollerante e ben lontana da ogni fondamentalismo.
La famiglia e la donna sono la vera struttura della società Saharawi. A causa della lunga assenza degli uomini, impegnati in una lunga lotta di liberazione, il ruolo della donna è cresciuto, non solo per quanto attiene alla maternità ma anche per la funzione di unica educatrice dei figli: infatti molte sono le donne inserite attivamente nelle varie amministrazioni.
Il Sahara Occidentale è stato colonizzato dagli spagnoli fino al 1975, quando, alla morte del dittatore Franco, la Spagna ha abbandonato le sue ultime colonie e, rendendo vane le speranze dei Saharawi di un referendum di autodeterminazione, ha lasciato questo territorio alle mire del Marocco e della Mauritania.
Questi ultimi lo hanno rispettivamente invaso da nord e da sud, in cambio di concessioni economiche vantaggiose per la Spagna.
Questa duplice invasione è stata tutt’altro che pacifica e dopo una iniziale resistenza di fronte a truppe ben più forti, i Saharawi più fortunati sono fuggiti verso l’unico confine praticabile, la piccola striscia che li unisce all’Algeria.
Dal 1975 nel deserto vicino a Tindouf, l’ultima città del sud algerino, si sono rifugiate circa 200.000 persone e sono stati costruiti degli immensi campi profughi prevalentemente composti da tendopoli, in cui vive la parte libera del popolo Saharawi.
Intanto nei territori occupati, grazie al consenso di alcuni Stati europei, il Marocco riprende lo sfruttamento delle miniere e dei banchi di pesca, mentre la popolazione Saharawi è sottoposta a un regime poliziesco. I processi non vengono effettuati e gli scomparsi sono circa 850.
Il territorio che ospita i campi profughi è di circa 10.000 chilometri quadrati, ed è completamente desertico, piatto, ricoperto di sassi e sabbia.
Il clima è, ovviamente, di tipo desertico con piovosità quasi assente.
La temperatura varia nelle due stagioni: estate ed inverno, raggiungendo i 50°-60° in estate e i 5° sotto zero nelle notti d’inverno. La vegetazione è assente eccetto rarissimi alberi a spine ed una oasi naturale di poche vecchissime palme.
L’acqua è reperibile a molti metri di profondità, ed ha un tasso di salinità tale da renderla non potabile.
La vita nei campi scorre lenta, turbata solo dal rumore continuo dei pochi generatori, che garantiscono l’energia elettrica agli ospedali e ai centri di accoglienza.
Nelle tende, per i più fortunati, la luce è garantita dai pannelli solari. Per altri non resta che la luce fievole del gas.
Le tendopoli Saharawi non sono certo un paradiso dove trascorrere le vacanze.
E’ duro nascere e vivere in un ambiente al limite della sopravvivenza, dove manca il bene più prezioso: l’acqua.
Cisterne dell’ONU riforniscono ogni 15 giorni grandi scatole di metallo, chiuse da rudimentali sportelli dove, trasportata dal vento, inclemente, la sabbia entra a inquinare quell’acqua leggermente salata e resa potabile dall’aggiunta di cloro; acqua che travasata in una varietà di recipienti deve bastare per tutto e per tutta la famiglia, centellinata e recuperata goccia dopo goccia.
In queste condizioni i bambini crescono consapevoli di tutti i disagi e di tutte le esigenze della famiglia, ma fieri di appartenere al popolo della sabbia